Formazione aziendale: perché i corsi “preconfezionati” non bastano
La crescita digitale non dipende dal numero di corsi acquistati, ma dalla qualità del percorso formativo che accompagna il team a usare davvero strumenti e dati in modo consapevole.
Oggi il marketing opera tra analytics, advertising, SEO, copywriting, AI generativa e automazioni: investire in competenze è necessario, ma la modalità con cui lo si fa fa la differenza.
Penso che, nonostante quello che si vede online, sia chiaro a tutti che le scorciatoie e le ricette miracolose non solo non sono utili, ma spesso siano la via più breve per l’insuccesso. Le guide pratiche possono essere fonte di ispirazione e utili nel caso si abbia già un buon livello di competenza ma non possono sostituire un percorso di apprendimento tradizionale e solido.
Condivido nel seguito alcuni punti che ritengo importanti e che applico quando progetto un percorso formativo con i miei clienti.
1) Il limite dei corsi standard
Corsi registrati o a “catalogo” in cui partecipano più aziende possono sembrare efficienti, ma generano bassa trasferibilità: ignorano livello di partenza, processi interni e obiettivi di business.
Un percorso efficace non si compra a scaffale: si progetta.
2) Dalla formazione generica alla formazione progettata
Il compito di HR è costruire un piano formativo che colleghi:
- Competenze da sviluppare: analytics (es. GA4), Google Ads, SEO, copywriting, AI generativa, marketing automation, CRM.
- Obiettivi di business: lead, vendite, awareness, fidelizzazione, brand.
- Risultati misurabili (KPI): CPA/CPL, ROAS, tasso di conversione, qualità lead, tempo al primo valore.
Ogni azienda ha una diversa maturità digitale: ciò che funziona per una start-up può non funzionare per un gruppo industriale o retail.
3) Il metodo che funziona
- Learning by doing: esercitazioni su casi e dati aziendali (o realistici).
- Modularità: base → avanzato → applicazione sul campo.
- Project work o coaching: accompagnamento nell’implementazione.
- Materiali riutilizzabili: template, checklist, dashboard, playbook.
- Integrazione disciplinare: l’AI potenzia SEO, copy e analytics; non li sostituisce.
4) Competenze da coprire (senza entrare nel dettaglio)
- Analytics & misurazione: tracking, lettura dati, attribuzione, insight azionabili.
- Advertising: strutture account, creatività, automazioni/AI, ottimizzazione.
- SEO: contenuti, tecnica essenziale, intenti di ricerca, basi di EEAT.
- Copywriting: funnel, tone of voice, prompt design per AI, test A/B.
- AI generativa: uso responsabile, prompt engineering, workflow produttivi.
- Data visualization: report chiari per decision maker.
5) Misurabilità, ROI e continuità
- Assessment iniziale delle competenze e dei gap.
- Test pre/post, rubriche di valutazione, obiettivi osservabili.
- Follow-up a 4–8 settimane: verifica dell’applicazione, aggiustamenti, coaching.
- Metriche di impatto: miglioramento KPI, autonomia del team, riduzione tempi/costi.
6) Sintesi operativa
- No ai corsi prefatti/registrati per più aziende: bassa efficacia.
- Sì a percorsi progettati su obiettivi, livelli e processi interni.
- Metodo pratico, moduli brevi, project work e materiali riusabili.
- Partner con esperienza reale e capacità di co-progettazione.
- Misurare il ROI e prevedere follow-up: la formazione è un investimento.
Le aziende che abbandonano i corsi generici e costruiscono un percorso su misura — integrando AI, SEO, copy e analytics — vedono risultati concreti: team più autonomi, decisioni migliori e performance superiori.
La vera svolta non è “fare corsi”, ma progettare una formazione che cambia i comportamenti in azienda e faccia crescere il gruppo di lavoro. Per mia esperienza un buon corso è anche un’occasione straordinaria per cementare il gruppo di lavoro, avere una visione comune e far comprendere quanto la collaborazione fra i vari ruoli permetta di ottenere risultati concreti.